venerdì 22 maggio 2015

La Selezione Colpevole, di Andrea Leonelli. Recensione di Sauro Nieddu

“La selezione colpevole” è una silloge di poesie piuttosto particolare, la scorrevolezza e la leggibilità di quest’opera sono tipiche più della forma del romanzo che non della poesia. Ogni lirica racconta una sensazione precisa, un sentimento espresso da un punto de vista ben delineato. L’insieme, esprime lo stato d’animo del protagonista in un periodo circoscritto della sua vita.

Non ho usato a caso il termine “protagonista” bensì per una scelta precisa dettata proprio dal carattere di romanzo poetico interiore di questa silloge. Questa natura di racconto è resa piuttosto chiaramente dall’autore con l’utilizzo costante della prima persona. Avrete capito quindi, che in “La selezione colpevole” il protagonista e il narratore coincidono. Andrea Leonelli parla direttamente al lettore, mettendo a nudo la sua anima, cercando di sezionare le sue sensazioni fino a esplicitarle totalmente.

Non è uno di qui libri in cui alla fine ci si domanda; “cosà avrà voluto dire l’autore?”, decisamente, al termine della lettura è chiaro quale fosse lo stato d’animo del poeta, chiaro come se lo spazio interiore dell’autore fosse riportato in una mappa posta di fronte agli occhi del lettore.

Che stato d’animo racconta quindi “La selezione colpevole”? Non è di certo un libro allegro. Parla di depressione, di disadattamento e senso d’impotenza, di abbandono, di rabbia, lo fa utilizzando a volte metafore, immagini, a volte in maniera diretta ed esplicita. Il linguaggio è spesso crudo e prende a prestito espressioni dell’ anatomia, della fisica, dell’informatica: non certo la classica terminologia poetica, eppure poetico riesce a essere il risultato d’insieme.

I colori che dominano nella silloge sono colori tristi, anonimi, lo stesso Leonelli scrive in “Senza meta”:


Un orizzontale
lungo e ampio
che si dipana su declivi interiori
pendenze modiche
da basse emozioni
uniformità tranquillizzanti
unicità di monotonie
fra verdi palude e marroni, grigi.

A questi mi sento, senza far torto all’autore, di aggiungerne altri due. Il nero dell’abisso e il rosso cupo del sangue. Il rosso, in particolare, non compare esplicitamente ma il sangue fa capolino in alcune liriche, in altre si fa riferimento ad organi interni: il rosso regna senza venire menzionato in maniera diretta. La presenza del nero abissale è più concreta, presente in numerose liriche, di “La bestia nell’abisso” credo sia sufficiente il titolo, ma per fare un altro esempio, in “Erodendo la pena”:

Sprofondo me stesso
nell’oscurità più nera
del mio animo.

Abissi e profondità oscure, dunque, fanno da efficace contrasto al quadro monotono e appena ondulato descritto in precedenza, diversificando e muovendo così il paesaggio.

Eppure, nonostante come ho già detto non si possa definire certo allegro, il risultato d’insieme non è nemmeno deprimente come potrebbe apparire da questa prima descrizione. Emerge spesso, nonostante tutto, una certa ironia, una certa amara giocosità che Andrea Leonelli mostra nel maneggiare le parole:

Un marcare un territorio virtuale:
esserci
nell’assenza dal sé/corpo
presenziando
come un sé/coscienza-essenza
linearità disgiunte dai contesti
pixel bruciati
cecità da oscurità assoluta
da assenza totale
zeri assoluti raggiunti e superati
superconducendo segnali
a disperdersi nel vuoto elettronico.

In questo estratto da “Loops continui”, per esempio, si può notare il gusto della mescolanza di termini filosofici, fisici, e informatici, ma anche il gioco di assonanze e allitterazioni, di rime interne ai versi.

Per chi fosse stato traumatizzato dallo studio delle poesie a scuola e dalle versioni in prosa impossibili, la lettura di “La selezione colpevole” potrebbe essere un buon approccio per reimparare che la poesia non è solo qualcosa di statico, cristallizzato in versi da imparare a memoria, bensì, al contrario, una forma espressiva libera e coinvolgente. Un ottimo punto di partenza per riconciliarsi con questo genere letterario ormai, aimè, sempre più abbandonato dai lettori.

Per chi leggesse abitualmente poesia, non ho altro da aggiungere; i pochi versi che ho riportato dovrebbero essere sufficienti a dare l’idea del valore poetico di questa silloge.

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