mercoledì 18 aprile 2018

Le donne sono tutte puttane!

Ed ecco che salta fuori il solito cretino:
"Le donne sono tutte troie!"

Se c'è qualcosa che non sopporto è proprio questo genere di affermazione. Do letteralmente in escandescenze. Non proprio letteralmente, a dire il vero. Cioè, do in escandescenze ma a modo mio; sono e resto pur sempre una persona civile, mica un troglodita... in pratica mi limito a ironizzare un po' sulla pirlaggine del soggetto autore dell'affermazione incriminata. Certo, come no; la tua ragazza se la fa con un altro e allora "le donne sono tutte troie", quell'altra non te la dà nemmeno a pagarla e allora "le donne sono tutte troie"

"EHEHEH! TI SEI SENTITO COLPITO?"
Ma che diavolo dici, imbecille! E da cosa mi dovrei sentire colpito, tra l'altro; sono più sfigato della sfiga in persona, di sicuro non devo preoccuparmi che mi cresca inavvertitamente un bel palco di corna sulla crapa. No, il punto è un altro, è che non sopporto le generalizzazioni e...

"Magari pensavi alla mammina..."
Ecco un'altra idiozia... come se fossi un mammone, come se me ne fregasse qualcosa della vita privata di mia madre! È libera di fare, o di aver fatto, tutto quello che le pare, lei, per quanto mi riguarda. Non sopporto le generalizzazioni e basta, è tutto qui! Le generalizzazioni sono la scorciatoia che le menti limitate adottano per illudersi di mettersi alla pari dell'universo. Ma il nostro è un universo complesso, cercare di semplificarlo a forza di generalizzazioni è il modo migliore per averne una visione distorta.

"Non dire cazzate, è solo il tuo criptofemminismo che ogni tanto salta fuori."

Ma che criptofemminismo e criptofemminismo, e cosa sarebbe, poi, 'sto criptofemminismo! Comunque la questione è un'altra, l'ho già detto. La questione sono le generalizzazioni. Me la sarei presa allo stesso modo se avessi detto che gli arabi sono tutti terroristi, i negri sono selvaggi o che i cinesi hanno gli occhi a mandorla.

"Ma i cinesi hanno gli occhi a mandorla!"
Ah sì? I cinesi hanno gli occhi a mandorla? Questa è davvero buona! Hai idea di quanti cinesi ci siano in Cina e sparsi per il resto del mondo? E quanti ne hai visti tu? Dieci, cento... mille? E solo perché quelli che hai visto, quella gocciolina nel mare dei cinesi, hanno gli occhi a mandorla, allora ti sei convinto che gli altri due miliardi o quanti diavolo sono abbiano tutti gli occhi a mandorla. Complimenti, molto intelligente. Una vera cima.

Ma vedo che non ho convinto nessuno... ancora tutti a farvi le seghe sul mio essermi sentito colpito, o o al mio essere mammone o criptofemminista (qualunque cosa significhi) mentre si tratta solo di una naturale e comprensibile avversione alla stupidità di queste generalizzazioni. 

Bene, vi fornirò la prova di non essere né Mammone né (cripto)femminista né colpito su un tasto sensibile. Una prova inequivocabile. Il fatto è, se proprio volete saperlo, che in fondo in fondo la penso allo stesso modo. Sì, avete capito bene, e sturatevi bene le orecchie perché lo lo dirò una volta sola.
Sono assolutamente d'accordo: le donne sono tutte puttane! E, lasciatemi aggiungere, gli uomini tanto quanto.

mercoledì 3 giugno 2015

Un Sauro in bicicletta: Marrubiu-Torre dei corsari-Pistis



Stavolta il percorso ricalca in gran parte quello dell'uscita  precedente Marrubiu-Porto Palma anche se leggermente più duro, un po' per i picchi di pendenza delle salite, un po' per lo sterrato, ma soprattutto perché affrontato con una grevissima montain-bike anziché con la leggera semi-corsa usata l'altra volta (colgo l'occasione per scusarmi con la mtb di non averla fotografata: rimedierò alla prossima occasione). Ora, prima che si faccia  tardi, mettiamoci in sella.


 Fino a questo punto abbiamo seguito la strada dell'altra volta (ricordate la foto?). Oggi invece, anzichè proseguire verso Funtanazza, prendiamo la strada che si trova alle mie spalle, fino a Torre dei Corsari.



Dopo esserci arrampicati per circa un chilometro su una salita nel complesso facile (anche se con una rampetta al 13%) ci fermiamo nell'abitato di Torre dei Corsari, dove una terrazza panoramica verso nord ci offre l'occasione di scattare qualche foto delle maestose dune dello spiaggione. Nella seconda foto, sullo sfondo, il promontorio di Capo Frasca, dall'altra parte della spiaggia, si intravvedono le case di Pistis.


 Ed eccoci alla torre di avvistamento che dà il nome alla località. Costruita dagli spagnoli nel XVII secolo per proteggersi dalle incursioni saracene, si erge su un promontorio alto un centinaio di metri: la vista è libera di spaziare.



Infatti, volgendosi a sud, nell'aria carica di foschia, si può intuire il profilo di Capo Pecora. E ora, giù alla spiaggia!


Ecco, vista dal basso, la salita che ci riporterà fino alla torre. Sono solo ottocento metri, però si tratta di un vero e proprio muro, con pendenze che vanno da 9% fino al 15%. Come? Volevate vedere la spiaggia? Un attimo di pazienza, please! La curva che si vede in fondo, dove sta passando ora quella macchina mi sembra decisamente il posto migliore per scattare qualche panoramica... Pant... pant... un attimo che arrivo!


 Il parcheggio dove ci trovavamo poco fa, con sfondo di dune.


E la spiaggia, con di nuovo Pistis e Capo Frasca come "retroscena". Ora siamo pronti a metterci sulla via del ritorno... sempre che riusciamo a ripartire: L'inclinazione del parapetto di tronchi dovrebbe dare una buona idea della pendenza.


Essendo questo un blog letterario, non potevo esimermi dall'offrivi una visita alla Casa del Poeta... abbiate pazienza, ci arriviamo subito, ora abbandoniamo la strada provinciale per immetterci in un sentiero sterrato. l'ulteriore deviazione, l'ultimo tratto che porta alla Casa, è poco meno che una mulattiera, google maps si è rifiutato di immetterla nel percorso.


Eccola qua, la Casa del Poeta: un ginepro plurisecolare che appunto, un poeta locale, trasformò in una sorta di capanna. Dalla foto si vede a malapena la pavimentazione, mentre le mura (rigorosamente bio, come ci si aspetterebbe da un rifugio di questo tipo) sono, aimè, andate distrutte di recente. Ciò che vedete penzolare dai rami, ovviamente non è spazzatura ma...



... citazioni letterarie e poesie lasciate come ricordo dai frequentatori di questo posto. 

 
Ed ecco l'ingresso dal mare della Casa. Non fatevi ingannare dalla foto, per arrivare alla spiaggia serve una ventina di minuti. Ora possiamo proseguire fino a Pistis.


Quella in fondo a sinistra è la stradina da cui siamo arrivati.

 
E questa è la spiaggia vista dall'altro lato, là in fondo, la torre...


... poi mi volto dall'altra ed ecco Capo Frasca (per la precisione, Sa Jenna 'e s'Arcu).


Questa magnifica fiat 750 meritava uno scatto: si viaggia anche nel tempo, indietro fino agli anni '60.


E superata l'ultima piccola asperità, prima di proseguire verso casa, uno sguardo alle mie spalle per salutare Pistis, con la strada che sembra tuffarsi in mare.
 

Alla prossima uscita!

mercoledì 27 maggio 2015

Per Mia Colpa, di Antonella Mattei. Recensione di Sauro Nieddu

Per Mia Colpa, è un romanzo che mi ha catturato sin dalle prime pagine. Sin dalle prime frasi, anzi, mi sono lasciato prendere dalla scrittura semplice, ma allo stesso tempo varia ed efficace. Col procedere della storia, ho potuto apprezzarne anche la struttura , tanto agevole da seguire che fa passare quasi inavvertitamente i flashback e la frammentazione di alcune scene. Questo in virtù del fatto che niente appare raccontato in maniera casuale, e ogni momento della narrazione contiene informazioni sostanziali allo svolgimento della storia e alla caratterizzazione dei personaggi.

Le qualità del romanzo non si limitano però a quelle stilistiche. Per Mia Colpa, è anche un romanzo carico di spunti, e in cui, altra qualità che mi ha colpito, i significati si svelano lentamente nel corso degli avvenimenti, riuscendo a cogliere di sorpresa il lettore nonostante la narrazione sia fluida e priva di eclatanti colpi di scena.

La trama in sé è piuttosto semplice. Si racconta la vita di Agnese, ragazza con una famiglia difficile alle spalle, cui la vita non ha offerto altro che vessazioni e che tira a campare facendo piccoli lavoretti procuratigli dal parroco del paese. Questo fino a quando l’incontro con Lea, che la prenderà sotto la sua ala protettrice come fosse una figlia, non cambierà la sua vita. Lea è una donna eccentrica, malvista dalla mentalità ipocrita del paese, ma sarà lei a rendere alla protagonista la dignità che merita.

Personalmente, la prima parte mi aveva indotto a vederlo come un semplice racconto di formazione. Poi la parte centrale, in cui Lea racconta ad Agnese la sua storia e in particolare il periodo che la vide deportata e privata della sua famiglia dagli occupanti tedeschi, nel corso della seconda guerra mondiale.

Inizialmente anche questo flashback mi aveva traviato, facendomi credere che il romanzo fosse in qualche modo incentrato sulla Storia, con la esse maiuscola, e sulla memoria. Ma la Storia in questo caso resta in sottofondo, e quel che conta davvero è la vicenda personale di Lea. Superata questa parte, s’inizia a capire in maniera graduale quale sia la direzione finale del romanzo.

Quindi, a questo punto chi sta leggendo si chiederà; “ma in sostanza, di cosa parla questo romanzo?” La mia risposta è; “come per qualunque romanzo di una certa complessità, non è facile da definire”.

È un romanzo che a me ha parlato di voglia di libertà, di come la mediocrità dell’ipocrisia possa essere vicina al male assoluto, e di come la lotta per non soccombere al male possa portare vicino ai suoi confini. È giusto lottare con qualunque mezzo per difendere la propria dignità da una massa informe che di questa parola conosce a malapena il significato? Per le due protagoniste di questo romanzo, la risposta è indubbiamente un sì. Non c’è però un giudizio finale da parte della voce narrante, che, pur simpatizzando con Lea e Agnese, non prende posizioni decise lasciando che il lettore sia libero di formarsi un proprio giudizio.

Dunque una visione della mediocrità come morte della dignità umana. Ma il romanzo, parla anche delle affinità elettive e di come i rapporti che ne scaturiscono possano dar forma all’amore nella sua concezione più alta. Un amore che non necessita dare o prendere, ma semplicemente esiste come legame indissolubile. Tale è il rapporto tra Lea e Agnese. Questa concezione s’intuisce però anche dal legame, più marginale nell’economia del romanzo, tra Lea e un soldato tedesco conosciuto al campo di prigionia. Se ne vede un barlume perfino nel breve, ma pregnante, incontro tra Lea e Ignazio, un vecchio solo cui Agnese sbriga le faccende domestiche. Questo breve episodio, inserto nella parte centrale del romanzo, del resto sembra messo lì proprio per fornire al lettore alcune chiavi di lettura.

Altra cosa da rilevare, i personaggi sono molto a fuoco, inquadrati alla perfezione come esseri umani ma carichi di una simbologia che rafforza il romanzo. Tra essi, giacché gli altri sono stati menzionati, vorrei segnalare la figura del parroco, Don Gino, che facendo da contraltare alle protagoniste cerca di tener salda la propria dignità (senza riuscirci) pur stando a stretto contatto con l’ipocrisia della massa, è lui, alla fine, l’unico vero sconfitto della storia. Un ruolo di rilievo, è svolto anche da Dori, la madre di Agnese, la cui figura, pur negativa, resta fuori dal quadro generale e ambiguamente incorpora in sé il ruolo di vittima e di carnefice.